Luca – La recensione gastronomica del film della Pixar
Com’è che un blog che parla di cibo questa volta si occupa di cinema? No, non è uscito il sequel di Ratatouille ma è disponibile sulla piattaforma di streaming Disney+ Luca, il cartone Pixar ambientato in Italia; e dato che le produzioni internazionali molte volte usano il cibo italiano come stereotipo, eccoci qui ad aiutarvi a capire se la visione potrà risultare indigesta.
Siamo un popolo suscettibile e permaloso quando si parla della propria cucina però nessuno finora ha fatto nulla per smentirci perché se ci va bene – ovvero quando non fanno capolino le chicken parmesan & co. – secondo il resto del mondo la pizza è l’unico piatto tradizionale italiano da Bolzano a Lampedusa (verosimilmente è anche un problema sistemico dell’Italia nella promozione delle tipicità).
Se non bastasse, noi siamo di Genova e come genovesi ci si può sentire ulteriormente “minacciati” per la nostra identità perché Luca non solo è ambientato in un borgo italiano ma questo paesino di finzione – Portorosso – è un voluto e dichiarato omaggio alle Cinque Terre della Riviera Ligure. Poco importa se molto probabilmente anche noi come genovesi imporremo la nostra visione distorta di capoluogo di regione sul resto della Liguria: alla fine ognuno è sempre il foresto di qualcuno altro…
Di Genova lo è pure Enrico Casarosa, regista del cartone, che a vent’anni si è trasferito a New York per studiare animazione, facendo poi carriera alla Pixar fino ad arrivare a dirigere Luca, il suo primo lungometraggio. Enrico Casarosa aveva già omaggiato le sue radici con un’altra opera Pixar, il corto La luna, un racconto magico di mare e pescatori. Possiamo stare allora tranquilli dato che il creatore è “uno dei nostri”?
Una precisazione: in seguito tratteremo di scene specifiche del cartone; non ci saranno spoiler, ma queste scene svelate prima della visione possono far perdere un po’ dell’incantesimo della sorpresa di alcuni dettagli presenti, soprattutto per chi è ligure (in realtà se siete stati molto attenti qualcosa si poteva capire già dal trailer). Per quelli che preferiscono fermarsi qui vi diciamo solamente che ci saranno momenti che vi faranno storcere il naso ma nel complesso potete guardare Luca senza dover temere di trasformarvi in italiani che reagiscono arrabbiati con commenti in caps lock sotto a video di tizi stranieri che fanno ricette italiane. Abbiamo visto di peggio. Che poi era ciò che volevate sapere fin dall’inizio (e questo sì che è uno SPOILER). Fine del prologo.
La storia di Luca si ispira alla leggenda di Colapesce e ci racconta di una giovane creatura marina, Luca, che quando è fuori dall’acqua ha un aspetto umano; Luca è desideroso di esplorare il mondo in superficie nonostante i genitori, che gli vietano la terraferma perché gli umani scambiano quelli della loro specie per dei mostri marini.
Scopriamo per la prima volta il borgo di Portorosso attraverso gli occhi di Luca e Alberto, un altro giovane “mostro” marino che ha convinto Luca ad abbandonare il mondo sott’acqua in nome della libertà, libertà che ha la forma molto concreta di una Vespa (sì, proprio la moto Vespa della Piaggio). Ecco, questa costante citazione della Vespa all’inizio del film fa scattare subito un allarme forte di stereotipazione, tanto è pervasiva, ma si comprende anche che essendo un simbolo conosciuto da chiunque è utile a farci entrare immediatamente in quell’immaginario che Casarosa vuol creare – Italia degli anni ’50/’60 – e quindi ci può benissimo stare (tra l’altro se Casarosa è creatore e regista del lungometraggio, la sceneggiatura è stata scritta invece da due autori americani e a questo punto della visione non possiamo sapere quanto questo potrà influire sul risultato finale).
I due ragazzini arrivano nella piazza centrale del borgo che ha due bar, un alimentari, una focacceria e una latteria: da questa escono due signore che mangiano il gelato, che è quindi il primo cibo italiano che incontriamo (poco prima abbiamo visto due bambini che mangiano l’anguria, se può contare). Poi ci viene presentato il “cattivo” del film, un bulletto di nome Ercole, di qualche anno più grande del protagonista, che vuole sempre mettersi in mostra: arriva in piazzetta sfrecciando sulla sua Vespa e dato che è il più figo mangerà un lunghissimo panino (?). Prende di mira immediatamente Luca e Alberto perché non sono originari di Portorosso. I due sono salvati da Giulia, una ragazzina che viene da Genova a trascorrere le estati a Portorosso con il padre pescatore e che pertanto è una alleata naturale di Luca e Alberto dato che pure lei è un outsider che arriva da fuori. È a questo punto che facciamo conoscenza di un’esclamazione che ci accompagnerà per tutto il film: “Santa mozzarella!” (che avrà ulteriori declinazioni casearie in “Santo pecorino!” e “Santa gorgonzola!”). La cosa non ci rincuora e l’allarme nella nostra testa suona sempre più forte.
L’alleanza tra Luca, Alberto e Giulia ha anche l’obiettivo concreto di vincere la gara locale, un improbabile triathlon che comprende tre prove: nuoto, bicicletta e… pasta; quest’ultima ci è motivata dal fatto che la gara è organizzata e sponsorizzata dal pastificio locale. Se vogliamo salvare qualcosa c’è da dire che per quanto ormai non lo ricordi più nessuno la Liguria ha un’antica e importante tradizione di pastifici perché Genova era il porto principale per il commercio del grano nel Mediterraneo (sì, scusateci corregionali della Liguria, siamo un’altra volta ancora genovacentrici).
Ci spostiamo a casa di Giulia che ha accolto i due forestieri; e dato che è sera e che siamo in Italia allora aggiungi due posti a tavola e mangiamo la pasta. Le trenette al pesto con patate e fagiolini. Sì, dicono proprio “trenette al pesto” nella versione internazionale, senza aggiungere nulla o specificare, il tutto con una naturalezza che fa bene al cuore – non come certe reclame che si vedono in tv – sarà anche perché le aspettative ormai si erano così ridotte al lumicino che ci basta veramente poco per accontentarci.
Momento moviola. Parte di questa scena era presente nel trailer. Non c’era la sequenza precisa di quando vengono messe in tavola le trenette al pesto ma se si fa attenzione si può già vedere Giulia con mortaio e pestello intenta a fare il pesto.
L’apparizione salvifica del pesto rischia di farci perdere un po’ di obiettività e quando ricompare nuovamente Ercole e compagnia con un panino in mano non riusciamo a capire se si tratti di un panino o di una slerfa di focaccia farcita. Il panino farà una brutta fine con tutti gli ingredienti che volano in aria, della roba rotonda che dovrebbero essere degli affettati, salumi e formaggi; per non rovinarci la giornata allora preferiamo pensare che si tratti di un panino imbottito all’americana, una moda che arriverà in Italia solo qualche decennio dopo e quindi Ercole paninaro antelitteram, pioniere di tendenze future ti perdoniamo per quella robaccia dentro al tuo panino. La focaccia farà però effettivamente capolino ma solo nei titoli di coda.
Concludendo, nel complesso per il lato gastronomico ci sono alti (sono citate anche le trofie) e bassi, e si vede la continua ricerca di un equilibrio tra il respiro internazionale e la fedeltà verso la cultura locale, come se la perdità di un po’ della propria identità sia un prezzo da pagare per far arrivare a tutti ciò che si ha veramente a cuore.
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