Minestrone con scucussu
Il binomio pasta-verdure è un comune denominatore della cucina genovese in cui l’elaborazione di numerosi piatti unici ha messo in equilibrio le vitamine delle verdure con le proteine e i carboidrati della pasta. Su questa accoppiata si staglia un primato dei Genovesi che avendo agganciato rapporti mercantili con l’Oriente, assai prima di Marco Polo, appresero dai nomadi Mongoli una singolare manipolazione della farina e dell’acqua: la pasta.
I Genovesi si impadronirono del sistema alimentare basato sulla pasta perché si resero subito conto della praticità di quel cibo. Il grano che abbondava nei capaci depositi nella zona del porto poteva così essere trasformato in maniera redditizia in una nuova merce. Fu così che essi sistematizzarono l’acquisizione, dopo il suo successo, dando luogo a precise organizzazioni (denominate lasagnari, macheronari e fidelarii, ecc.) e codificarono una serie di formati adatti secondo i diversi utilizzi.
La pasta diventa una presenza implacabile a tutti i livelli, con articolazioni autonome e originali. E’ il caso del nobile maccherone di Natale, oggi un po’ desueto, oppure dello spaghetto appiattito, e della trenetta, che deriva il nome dall’antico termine che indicava la pasta: “tria”.
Tra le paste da minestrone, che tengono la cottura, oltre ai “bricchetti” (fiammiferi, alla francese), troviamo un formato aristocratico e un po’ démodée: lo “scucussu”, corruzione dialettale del cus-cus conosciuto nel mondo arabo. Non esiste una dizione precisa del nome che nelle storpiature delle nonne diventava anche cuscusun, cuccusun o scucusu. Si tratta di palline di grano duro (pasta secca) che nella forma e nella consistenza ammiccano all’origine celata nel nome del piatto arabo. Queste palline lasciate gonfiare e intiepidire nel re dei primi della cucina genovese: il minestrone, danno luogo ad un connubio eccezionalmente squisito da gustare in una serata estiva.
Ecco la ricetta.
Ingredienti:
(Le quantità variano a seconda del numero dei commensali)
Patate, piselli, zucca mantovana, cavolo cappuccio, fave, zucchini, fagiolini
Fagioli (sia cannellini, sia borlotti)
Pomodori (uno o due, al massimo)
Melanzane (altre verdure possono variare a seconda della stagione)
Sedano, aglio, carota, cipolla
Olio d’oliva e pesto (senza pinoli)
Croste di parmigiano
La verdura, mondata e tagliata a tocchetti (l’aglio può essere battuto a parte e aggiunto durante la cottura) viene gettata in una capace pentola piena d’acqua in ebollizione (circa un chilo e mezzo di verdure per 2 litri / 2 litri e mezzo d’acqua). La cottura dovrà essere gagliarda. Per questo motivo occorre avere una sorgente di calore adeguata alle quantità. Se si dispone della possibilità, la cottura ideale è su un fuoco a legna. La sua caratteristica è la densità, che si deve raggiungere solo con la cottura. E’ bene, di tanto in tanto, rimestare il minestrone, per evitare che la verdura disfatta si attacchi al fondo della pentola e conferisca uno sgradevole gusto di bruciato.
A metà cottura, aggiungere mezzo bicchiere di olio d’oliva, le croste di formaggio ben raschiate nella parte esterna e il sale grosso. Con il mestolo e un cucchiaie schiacciare grossolanamente le patate e i fagioli per addensare gradatamente il minestrone. Quando nella pentola le verdure sono quasi sfatte e l’insieme è denso e cremoso, si butta la pasta (mezz’etto a testa, ma bastano anche 30 grammi): ecco che entra in scena lo “scucussu”.
Quando la pasta e cotta, si toglie dal fuoco e si aggiunge il pesto, rimestando con un mestolo di legno, e si versa in capaci fondine. La tradizione vorrebbe che il minestrone si consumasse tiepido, dopo un quarto d’ora di riposo nelle fondine, è in questa fase che lo scucussu dimostra le sue qualità mantenendo la consistenza pur restando morbido. E’ chiaro che si possono usare a piacere altri formati di pasta. Tra i più comunemente utilizzati: bricchetti, tagliatelli (questi di pasta fresca, ma fatta con poche uova), spaghetti spezzati, maccheroncini rigati e lisci (mostaccioletti).